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OSSIGENO

Dalla gratitudine a Navdanya

È l’incarnazione dell’impegno nella protezione della diversità biologica e culturale. È stata insignita nel 1993 del Right Livelihood Award, il Nobel Alternativo per la Pace. Fisica quantistica ed economista, vicepresidente di Slow Food International e fondatrice di Navdanya: a firmare per Ossigeno #11 il testo di apertura sull’interconnessione tra acqua, suolo e umanità, l’icona mondiale dell’attivismo Vandana Shiva

di Vandana Shiva

da Ossigeno 11

Argomenti

Ambiente
Persone

Ciò che mi ha sempre guidato è l’amore e il rispetto per la Terra e per l’umanità. La mia gratitudine per la vita che la Terra viva ci dona è ciò che mi guida a difendere natura e diritti umani. Il diritto umano alla vita fluisce dai diritti connaturati alla Terra, quindi, per me, difendere la Terra è un nostro dovere, oltre che un nostro diritto.

Il modo migliore in cui le persone possono sentirsi coinvolte è partecipare alla rigenerazione della Terra viva coltivando un giardino o producendo cibo secondo il paradigma ecologico, senza l’uso di sostanze chimiche. uando ci prendiamo cura del suolo diventiamo noi stessi parte della Terra, acquisiamo la consapevolezza di essere noi stessi parte della natura.

Siamo fatti degli stessi cinque elementi che costituiscono la Terra: spazio, aria, acqua, fuoco, suolo. Humus, come per il suolo, è la radice della parola umano. Siamo terra. Siamo fatti di terra. E possiamo e abbiamo il dovere di rigenerare la Terra.

Dobbiamo cambiare rotta. Dobbiamo abbandonare la strada dell’estrattivismo, del prendere senza dare, del porre i profitti al di sopra delle persone. È la parabola discendente del consumismo, che sta annientando le condizioni della vita umana sulla Terra. È un vicolo cieco; sfocia in estinzione. Il cammino che conduce alla possibilità di un futuro per l’umanità si indica seguendo il percorso su cui gli indigeni hanno camminato per secoli senza mai distruggere la Terra. Significa camminare seguendo quei solchi della natura che hanno sorretto la vita sulla Terra nel corso dei millenni.
In Navdanya siamo profondamente consapevoli che il suolo è vivo, e che prendersi cura del suolo vivo è l’aspetto più importante della coltivazione del cibo. Il cibo è il dono del seme vivo e del suolo vivo. Semi e piante vivificano il suolo, e il suolo vivo alleva semi vivi. Il terreno su cui si trova la cooperativa di Navdanya era un lembo di terra desertificato, impoverito da una piantagione di eucalipti. Per rigenerare il suolo, abbiamo nutrito i suoi microrganismi aggiungendovi materia organica. Abbiamo coltivato la biodiversità, che ha favorito l’accoglienza di una ancor più ricca varietà di insetti e impollinatori, di lombrichi e organismi del suolo, di piante medicinali, spontanee, selvatiche, edibili. uando non si ricorre all’uso di pesticidi ed erbicidi come il glifosato, che uccide insetti e piante, la biodiversità coltiva la biodiversità.

La biodiversità coltiva l’abbondanza, la biodiversità coltiva la vita.
Le nostre ricerche dimostrano che un terzo del cibo è opera degli impollinatori. Il nutrimento per il nostro cibo proviene dai microrganismi del suolo. Avere cura dei semi significa allora occuparsi di semi a impollinazione libera e rigenerativa, accrescendone la diversità attraverso una banca viva dei semi, in modo che possano co-evolvere adattandosi al cambiamento climatico.
La banca dei semi di Navdanya è viva, è un bene comune, dove i semi co-evolvono grazie alla cura umana. La banca dei semi di Navdanya, all’interno della cooperativa di Navdanya, non è che una delle 150 banche comunitarie di semi che abbiamo contribuito a creare a partire dal 1991. Ho avviato l’istituzione di banche comunitarie di semi per salvaguardare la diversità dei semi vivi e perché potessero restare nelle mani degli agricoltori.

È stato nel 1987, durante un meeting sulle nuove biotecnologie, che l’industria chimica ha rivelato per la prima volta di come avrebbe geneticamente modificato i semi per possederne il brevetto esclusivo. Dissero che tutti i semi sarebbero divenuti OGM aziendali brevettati entro il 2000, e che l’accordo sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio dell’AGTC/OMC¹ sarebbe stato utilizzato per rendere illegale la conservazione e lo scambio di semi. Per me custodire e condividere i semi è un dovere etico, oltre che ecologico. Quindi, assieme alle comunità, mi sono impegnata a conservare i semi attraverso le banche comunitarie e a combattere l’affermazione falsa che i semi siano congegni inventati dalla Monsanto. Una banca comunitaria dei semi rappresenta allora una riappropriazione di beni comuni e vitali in un periodo di imperialismo ai danni della vita, a cominciare dal monopolio sui semi.

Parlando di acqua, nel corso della storia le sue fonti erano riconosciute come sacre. Sono luoghi degni di timore reverenziale perché l’acqua è dono della natura, e dà il dono della vita. È imprescindibile per la nostra sopravvivenza. Non solo costituisce gran parte dei nostri stessi corpi, ma con l’acqua il suolo viene idratato in modo che le piante crescano, che cresca la vita. A sua volta, la materia organica delle piante e di altri esseri viventi ritorna al suolo, rendendolo più resistente all’erosione e aumentandone la capacità di ritenzione idrica.

L’acqua è bene comune. È il fondamento ecologico di tutta la vita. La sua sostenibilità e l’equa ripartizione dipendono dalla cooperazione tra i membri della comunità. Tuttavia, c’è uno slancio crescente verso la privatizzazione delle risorse idriche. Assistiamo a un crescente intervento da parte dello stato in termini di politica idrica e di sovversione del controllo comunitario sulle sue risorse. Nei secoli e nel mondo, i diritti dell’acqua hanno preso forma sia sui limiti degli ecosistemi che sui bisogni delle persone. L’acqua è sempre stata considerata un diritto naturale. I diritti dell’acqua come naturali non hanno origine con lo stato; essi evolvono al di fuori del contesto ecologico dell’esistenza umana.
E parlando di suolo, il suolo vivo è una complessa rete alimentare, brulicante di vita. Un metro cubo può contenere più di 5.000 lombrichi, 50.000 insetti e acari e 12 milioni di nematodi. Un grammo può contenere 30.000 protozoi, 50.000 alghe, 400.000 funghi e miliardi di batteri. Questa vita nel suolo è ciò che ne ringiovanisce la fertilità, rendendo le sostanze nutritive disponibili per le piante che sono il fondamento della nostra agricoltura.
Eppure l’industria agricola ha fatto suo il mito secondo cui i fertilizzanti sintetici possono aumentare la produzione alimentare, indipendentemente dalla vita del suolo, azzerando i limiti ecologici alla produzione alimentare. uesto mito è supportato dal costrutto di resa – la misura del peso della merce che lascia la fattoria. Non è una misura del valore nutritivo degli alimenti prodotti dalla terra, né tiene conto delle condizioni del terreno dopo il raccolto. L’uso di fertilizzanti artificiali comporta la morte del suolo vivo, dunque la riduzione della sua fertilità. Ciò significa che la nutrizione per acro è diminuita. Il ciclo di carbonio e azoto attraverso il suolo è stato spezzato.
Il ciclo idrologico ne è stato negativamente colpito.

L’agricoltura industriale è implicitamente ad elevato consumo idrico. Usa dieci volte l’acqua che l’agricoltura ecologica impiegherebbe per produrre la stessa quantità di cibo. È questo il motivo principale per cui l’acqua viene estratta, causandone la scarsità in gran parte del mondo. Inoltre, prodotti chimici e fertilizzanti sintetici annientano la capacità di ritenzione idrica del suolo precedentemente vivo.

Tutti gli umani hanno gli stessi diritti al cibo e all’acqua, all’aria pulita e a un ambiente sano e sicuro. Gli esseri umani, in quanto parte della Terra, possiedono il diritto naturale a una vita in benessere e in salute. Il diritto alla vita comprende il diritto a respirare, ad avere aria pulita, il diritto all’acqua e all’affrancamento dalla sete, il diritto al cibo e all’affrancamento dalla fame, il diritto a una casa, alla proprietà, alla terra, al sostentamento e ai mezzi di sopravvivenza che suolo e terra forniscono. Dal momento che dipendiamo dalla natura per il sostentamento, la sua devastazione si traduce in violazione dei diritti umani al cibo, all’acqua, alla vita e ai mezzi di sussistenza. Tutti i problemi ecologici hanno radici comuni nella negazione della Terra come sistema vivente e nella violazione dei limiti dei suoi cicli e dei suoi processi. La violazione dell’integrità delle specie e degli ecosistemi, la profanazione dei limiti ecologici, dei confini planetari, dell’integrità culturale e della diversità sono alla base delle molteplici emergenze ecologiche che la Terra sta affrontando, e delle emergenze sociali ed economiche fronteggiate dall’umanità.
L’agricoltura industriale è responsabile della devastazione del suolo, dell’acqua e della biodiversità del pianeta. Di questo passo, se la quota di agricoltura industriale basata su combustibili fossili e di cibo industriale nella nostra dieta aumentano ancora, presto avremo un pianeta morto.
La biodiversità, la diversità delle specie, la loro mutualità e la loro interconnessione creano la rete della vita, mantengono vivo il pianeta e l’infrastruttura della vita. Le emergenze che gli esseri umani devono affrontare in termini di fame e sete, malattie e pandemie sono profondamente radicate nelle crisi ecologiche e nelle crisi di ingiustizia, disuguaglianza e disumanità.
Le crisi multiple e le pandemie contro le quali ci troviamo oggi a combattere – la pandemia sanitaria, quella della fame, la pandemia della povertà, l’emergenza climatica, dell’estinzione, dell’ingiustizia, dell’esclusione e della disuguaglianza, l’espropriazione e l’eliminazione di un gran numero di esseri umani – sono tutte radicate in una visione del mondo basata sulle illusioni di separazione e di superiorità, che negano l’interconnessione e l’unità di tutto. L’assunto antropocentrico secondo cui gli esseri umani sono separati dalla natura e superiori alle altre specie prive di diritti non solo è una violazione dei diritti dei nostri simili, ma è anche una profanazione della nostra stessa umanità e dei nostri stessi diritti umani. I più recenti assunti scientifici dimostrano che è la cooperazione, e non la competizione, a plasmare l’evoluzione. Dalle molecole in una cellula, agli organismi, agli ecosistemi, fino al pianeta nella sua integrità, cooperazione e mutualità sono i principi ordinatori della vita. Le culture indigene si sono sempre concepite e strutturate come membri della comunità della Terra, cooperando per preservare le infrastrutture e il benessere della vita.
uanto alla tecnica, in un’ottica meccanicistica, le tecnologie chimiche, meccaniche e genetiche diventano misura dell’avanzamento di un sistema socio-sanitario. Ma le tecnologie sono strumenti, e gli strumenti devono essere valutati in base a criteri etici, sociali ed ecologici. Nella civiltà indiana, strumenti e tecnologie non sono mai stati concepiti come autoreferenziali. Al contrario, sono stati valutati in base al contributo fornito al benessere di tutti.
I sistemi alimentari devono rigenerare la biodiversitಠper fornire più cibo a più specie e più persone, in modo che nessuno debba soffrire la fame, nessuno sia malnutrito, nessuno venga afflitto da malattie croniche.
Dobbiamo rinaturare, riportare allo stato brado le nostre menti, il nostro cibo, i nostri sistemi alimentari.
Rewilding, rinaturare, significa anche rigenerare la biodiversità nelle nostre fattorie e nelle foreste, ri-naturalizzare il microbioma intestinale, i nostri corpi, la nostra mente.
Rinaturare il cibo equivale anche ad azzerare le storiche ingiustizie perpetrate contro gli indigeni e le tribù. Significa riportare le persone e il cibo nelle foreste, e gli alberi e gli animali nelle fattorie. Il rewilding include la riscoperta e la rigenerazione di cibi ed edibili forestali e selvatici, oltre alla creazione di foreste alimentari. Include il portare gli animali fuori dalle aziende, il riportarli alla terra. Allevandoli all’aperto, e reintegrandoli in un sistema agroecologico, per nutrire anche le piante che li alimentano.
Data l’emergenza planetaria, e l’emergenza sociale ed economica della disoccupazione, dei debiti e dei suicidi degli agricoltori, tocca a noi ora proteggere la Terra, difendere diritti e mezzi di sussistenza dei nostri piccoli coltivatori, delle nostre tribù, dei nostri artigiani, per ristabilire una modalità di lavoro che lo porti a essere costruttivo, creativo, dignitoso e auto-organizzato in economie vive, capaci di rigenerare la Terra, i mezzi di sussistenza, la speranza nel futuro.
Il passaggio dalla globalizzazione aziendale basata sui combustibili fossili alla localizzazione delle nostre economie è ormai un imperativo ecologico e sociale. La localizzazione economica implica che tutto ciò che può essere prodotto localmente, contando sulle risorse del territorio, debba essere protetto per costruire una economia locale vibrante, in modo da salvaguardare tanto i mezzi di sussistenza quanto l’ambiente.
Vent’anni dopo aver scritto Le guerre dell’acqua, ciascuna crisi di cui ho trattato si è intensificata nel mondo industriale. La privatizzazione dell’acqua è aumentata, tuttavia abbiamo anche vinto alcune battaglie contro corsari dell’acqua come Coca Cola. A Plachimade, un piccolo villaggio del Kerala, sono state le donne a determinare la chiusura di un loro impianto.
Il movimento per la protezione dell’acqua come bene comune è cresciuto in tutto il mondo. L’agricoltura industriale è ad elevato consumo idrico, e ha causato il prosciugamento di laghi e falde acquifere. Nel capitolo dedicato ai cambiamenti climatici, in Le guerre dell’acqua, ho citato un agricoltore dell’Orissa che diceva: «Troppa acqua e troppa poca acqua causano disastri». Stiamo sperimentando estremi climatici che vanno dalle inondazioni alla siccità, entrambe in aumento. D’altra parte, le nostre pratiche basate sulla biodiversità a Navdanya non solo la rigenerano, ma rigenerano anche i sistemi idrici. uando i terreni vengono concimati organicamente, come accennato in precedenza, la loro capacità di trattenere l’acqua aumenta, aumentandone così anche la resilienza climatica.

Il suolo e l’acqua sono profondamente interconnessi. Dobbiamo passare da un modello estrattivista dell’economia a un modello circolare. Abbiamo bisogno di passare dalla separazione e dal riduzionismo meccanicistico a una comprensione organica degli ecosistemi e del pianeta.

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