38 dieci anni, in I’ve already been here (2011-2014). Sul cammino di redenzione la cui ispirazione è Il castello interiore (1577) di Santa Teresa d’Avila – che suddivise l’animo umano in sette stanze, e che Tosatti ha reso toccanti luoghi dell’anima recuperando e rigenerando sette edifici storici e abbandonati di Napoli, quasi come fossero gli esercizi spirituali di quei capolavori di Leonardo Sciascia in letteratura (1974) e di Elio Petri in cinematografia (1976) per Todo Modo – nelle Sette Stagioni dello Spirito (2013-2016). Sul naufragio dell’Europa nella Jungle di Calais in Histoire et Destin (2015-2016), e dell’idea stessa di democrazia già cristallizzata a Catania, a Riga, a Cape Town, a Odessa, a Istanbul, pronta a salpare per nuovi porti, in Il mio cuore è vuoto come uno specchio (2018-2025). La stessa Storia della Notte e Destino delle Comete attraverso cui il Padiglione Italia, alla 59. Biennale Arte di Venezia, si è presentato al resto del mondo affidandosi per la prima volta a lui come unico cantore, era in due atti. Panta rei, tutto scorre, è una massima che racchiude la storia e un atteggiamento, ed è quella di Tosatti una storia artistica che leggerei come un unico, potente ciclo all’interno del quale, come per il ciclo dell’acqua, è la stessa presenza dell’essere umano a evaporare, dalla performance alla più pura installazione ambientale. Come per l’acqua, tuttavia, quella dell’essere umano non è un’assenza, ma piuttosto una sublimazione in ciò che Tosatti ha spesso definito la saggezza dei vinti: attraversando i sud del mondo, là dove è più forte la sete, «I temporaneamente vinti rispondono al conflitto con reazioni alternative, non cercando una revanche, ma inventando un’altra strada per migliorare la storia», ha scritto. Come per l’arte di arrangiarsi, fatta anche di pasta mista, messa insieme coi resti degli altri pacchi di pasta, e di spaghetti alle vongole fujute. Come per La pelle (1949) di Curzio Malaparte, dove i veri vincitori sono quelli che portano con dignità, creatività e poesia il peso della loro sconfitta. Come per la legge del mare, non codificata e forse proprio per questo la più umana delle leggi, che ti impone di salvare una vita non per obbligo giuridico, ma morale. Chi tene ‘o mare cammina c’a vocca salata, cantava Pino Daniele, tra l’illusione del tutto e il riscontro del niente; ma, fratello complice, «Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare», scrisse Giovanni Verga, autore del ciclo dei vinti. E tornando al contemporaneo, Tutto brucia è il titolo di una delle più recenti produzioni teatrali dei Motus, libero adattamento da Le Troiane di Euripide, che racconta di una civiltà vinta e svenduta. Non la fine del mondo, ma la fine di un mondo, di un paradigma esausto. �uando tutto brucia, l’acqua salva e rigenera. E quando tutto brucia, l’arte è catartica. «Il compito dell’arte è quello di farci sentire nelle vene il bruciore di una condizione insostenibile, che chiede il nostro cambiamento. La tragedia è per me l’atto fondatore dell’arte moderna, atto fondatore che si basa sul meccanismo della catarsi, e la catarsi non è la morale. La catarsi è uscire dalla tragedia veramente con il sangue che ti brucia nelle vene e ti dice che non puoi continuare a essere ciò che sei stato fino a oggi, perché devi cambiare», sono state le sue parole durante la conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia, nel febbraio del 2022. Acqua salvifica, arte catartica. Ma, come l’acqua, occorre che l’arte sia indipendente, che entrambe non debbano mai essere rese merce di scambio. Acqua libera, arte libera. Sono i luoghi in sofferenza che diventano dunque le sue ambientazioni predilette, mai calcando una mano supponentemente compiaciuta sul marcimento, sulla gentrificazione incontrollata, sull’abbandono, ma piuttosto immaginando una vita nuova, totalmente altra, una rigenerazione, perché è dove c’è una ferita aperta che l’arte, come l’acqua sterile, può curare. L’acqua, la insegna la sete è il primo verso di una poesia del 1859 di Emily Dickinson. Gli chiedo dunque, nell’arte e nella cultura, cosa lo asseta e cosa, invece, lo disseti: «Aver sete, talvolta, è pregustare l’acqua che ci disseterà. �uadriennale per me è stato questo. Rimettere a posto, pezzo a pezzo, tutti i problemi irrisolti che hanno compromesso la formazione della mia generazione artistica. Senza clamore, senza pretese, senza voler convincere nessuno. Abbiamo ristabilito l’equilibrio in silenzio, lavorando. E questa incontestabilità di un fatto significativo nella storia di una generazione artistica era il senso di soddisfazione che già pregustavo quando, assieme ai miei compagni di strada, eravamo disidratati fin quasi al collasso». Certo, ci vogliono spalle larghe per sostenere, come un Atlante contemporaneo, non solo i duemila metri quadri del Padiglione, ma anche la direzione artistica della �uadriennale di Roma, somma istituzione nazionale che studia, promuove e incornicia di quadriennio in quadriennio lo stato dell’arte contemporanea in Italia, per la quale Tosatti ha ricevuto la nomina quasi in simultanea con la chiamata per la Biennale. Incarichi come carichi ciclopici, ma la lezione può venirci, ancora una volta, dall’acqua, H2O, due parti di idrogeno e una di ossigeno. Tosatti rispose alla doppia chiamata della Biennale e della �uadriennale – una chiamata alle armi
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